La cultura dei terrazzamenti può salvare il Paese da frane e smottamenti.

8 maggio 2017 14:54 di jazzi

di Nicola Dante Basile.

I terrazzamenti rurali, manufatti in pietra piuttosto diffusi in aree collinari e montane, costituiscono un’ottima misura per preservare l’integrità dei territori da rischi idrogeologici. In più, permettono la messa a coltura delle superfici a livello, rese tali proprio dalla costruzione di siepi o muri di pietra a secco.

L’Italia, per via della struttura orografica che si ritrova, è tra i Paesi al mondo ad avere un elevato numero di siti terrazzati. Eppure, non sufficienti a mettere in sicurezza tutte le aree più esposte a frane e smottamenti. Con gravi conseguenze al patrimonio agricolo e paesaggistico, quand’anche risvolti tragici a persone, cose e animali.

Una cifra prudenziale stima nella Penisola (isole comprese) la presenza di diverse decine di migliaia di chilometri di muri a secco e circa un milione di ettari di superfici rese coltivabili con i terrazzamenti. Un quadro più completo ed esaustivo lo si potrà avere alla fine di quella che è la prima mappatura dei terrazzamenti rurali in corso d’opera da Bressanone a Pantelleria, curata dal Dipartimento di Geografia dell’Università di Padova.

L’iniziativa vede impegnata la Sezione italiana dell’International Terraced Landscape (Itla) che, su mandato dalla segreteria generale Itla e sotto l’egida Unesco, sta organizzando per l’autunno (6-15 ottobre) la terza Conferenza mondiale sul “futuro dei terrazzamenti rurali”. Ai lavori, coordinati dalle Università di Padova e Venezia, parteciperanno studiosi della materia provenienti da tutto il mondo.

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Yuanyang: terrazzamenti

In precedenza solo due altri Paesi hanno avuto dall’Unesco questo importante incarico: la Cina, nel 2010, dove a Yuangyang  è stato firmato l’atto costitutivo dell’Itla; il Perù, a Cusco, nel 2014. Ora è la volta dell’Italia, con i lavori di preparazione affidati alla Sezione italiana, la cui fondazione risale al 2011 a opera della Cooperativa olivicola Comune di Arnasco, Consorzio della Quarantina di Genova, Regione Veneto e Università di Padova.

Oggi gli associati sono oltre settanta tra Dipartimenti universitari, enti scientifici, centri studi e di ricerca, consorzi agricoli e imprese private, magari spinte dal desiderio di capire le opportunità che i terrazzamenti rurali possono offrire in prospettiva. Cosa che peraltro ben si addice nell’ipotesi di attività finalizzate alla valorizzazione di paesaggi agresti e percorsi naturalistici, come ce ne sono pensando ai “gradoni” della Valtellina, con quelle vigne di Nebbiolo apparentemente sospese nell’aria, o alla perfezione architettonica delle “marogne” in Valpolicella, ai contrafforti dell’Etna addomesticati ad agrumeti e pregiate cultivar di Nerello Mascalese, e via di questo passo con le terrazze di Salina e di Lipari, o quelle di origine moreniche di Morgex et de la Salle, fino ai rigogliosi catini lungo la strada del Prosecco tra Conegliano e Valdobbiadene, o come gli “jazz”, ovili a cielo aperto dove trovano riparo le greggi in transumanza sulle alture delle pietrose Murge.

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Pisac Moray, Perù: Terrazas Inca.

Fa specie, invece, constatare la poca considerazione che dei terrazzamenti hanno gli organi istituzionali. Se non altro perché sono i primi a dover conoscere il reale valore di questi impianti e le loro plurime funzioni di tutela del territorio, sviluppo sostenibile delle risorse, cura del patrimonio rurale e paesaggistico. Funzioni peraltro offese dai frequenti scempi che colpiscono l’Italia tutta, da Nord a Sud.

Come non ricordare la montagna sopra Messina che si sbriciola, causando morti e lasciando la città a secco per giorni e giorni. O le bombe d’acqua che devastano la costa Amalfitana, la riviera Toscana, la Liguria …, e vedere condomìni interi (forse abusivi) sconquassati dalla furia degli elementi. Disastri che forse potevano essere anche evitati, se solo fossero stati costruiti a tempo debito appositi terrazzamenti in corrispondenza dei punti più critici.

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Bali: risaie terrazzate.

Il fatto è che buona parte del patrimonio italico merita di essere salvaguardato. E per farlo non c’è niente di meglio e di più sostenibile delle terrazze a livello protette da muri a secco. Che però vanno costruiti, come sostiene Massimo Montanari, docente all’Università di Bologna e tra i massimi interpreti della cultura dell’alimentazione e territorio, secondo il quale “il paesaggio è una costruzione dell’uomo…, se ci si ferma talvolta a guardarlo, ammirandone le forme dei campi …, le curve delle colline, è perché l’uomo, nel corso dei secoli, ha saputo coniugare l’utilità con la bellezza, e tutti ci auguriamo che sappia ancora farlo”.

Un messaggio di speranza, quello di Montanari, che va di pari passo alla consapevolezza di quanti ritengono che ovunque esista un paesaggio degno di essere ammirato, per certo esiste anche una storia che merita di essere raccontata. Una storia magari da recuperare e proteggere, essendo cultura e territorio un tutt’uno che vale la pena lasciare in eredità alle future generazioni. Come peraltro è sempre stato fatto da antiche e operose popolazioni che, per tutelarsi da usurpatori , hanno trovato riparo e costruito terrazzamenti in luoghi estremi.

Ecco allora prendere forma le terrazze andine di Pisac, Moray, Machu Picchu, in Perù, risalenti agli Incas e oggi siti archeologici tra i più visitati al mondo; ecco le risaie di Bali, in Indonesia, di Ifugao nelle Filippine, di Yuanyang, in Cina, che per ricchezza cromatica riflessa rimandano alle geniali composizioni pittoriche di Munch e Van Gogh.

Ma non di artificio ingannevole si tratta, quant’è vero che sono ambienti e paesaggi agresti che l’Unesco ha elevato al rango di Patrimoni dell’Umanità.

Pubblicato da http://nicoladantebasile.blog.ilsole24ore.com/ il 7 Maggio 2016

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