Ogni spostamento ha il suo tempo, mai come oggi i movimenti delle persone sono diventati veloci e accessibili, le distanze percorribili, gli affetti senza confini.
Eppure ogni mezzo di trasporto presenta un ritmo peculiare e un sentire specifico: lo sguardo dal finestrino del treno, l’ovale dell’aereo sopra le nuvole, l’ondeggiare dell’orizzonte in barca, la rapidità del paesaggio in auto. E poi la moto e la bicicletta.
Diceva Michel de Certeau che il finestrino del treno produce nostalgia. Quale sentimento evoca il camminare? Camminare è tutta un’altra cosa. Il paesaggio circonda completamente l’andare, non è bidimensionale, odora, si inciampa, si determina autonomamente il passo, il fermarsi, il ripartire.
Camminare è una dimensione di movimento caratterizzata dalla lentezza. Quel tempo lento che viene da lontano e ricongiunge immediatamente il camminatore con tutti quelli che in precedenza, sempre e solo a piedi, hanno intrapreso quei sentieri.
Scarpe migliori? Sicuramente. Aria meno tersa? Può darsi. Ma i sentieri dei pastori, dei monaci basiliani, dei briganti sono rimasti lì, gli stessi. Non sono stati alterati da nessun tipo di tecnologia, rimangono immutabili e permettono di fare un’esperienza senza un tempo preciso che non sia quello dell’andare.
Se il sentiero di connessione tra risorse naturali è il tragitto classico dei parchi, la presenza di manufatti e spazi di recupero diventa tappa obbligata tra le risorse ambientali. Solo così gli attraversamenti del passato si sovrappongono a quelli del presente. La mappatura dei manufatti e delle presenze antropiche permette di supporre le linee di attraversamento dello spazio naturale e di ricostruire la relazione tra natura e soggettività.
A partire dalla rete attuale dei sentieri, la ricerca vuole indagare traiettorie esistenti e nuove per disvelare, classificare e valorizzare i luoghi di interesse naturale, storico e antropologico.