La valle della luna

12 gennaio 2017 12:06 di jazzi

di Jack London.

Proseguirono a sud, lungo la costa, cacciando, pescando, nuotando e comprando cavalli. Ora Billy si serviva dei vapori per inoltrare le sue bestie a destinazione. Così attraversarono le contee di Del Norte, di Humboldt, di Mendocino, di Sonoma – contee più vaste di molti Stati dell’Est – calpestando il suolo di foreste gigantesche, pescando in innumerevoli acque ricche di trote, e attraversando altrettante floridissime valli. E dovunque, Saxon cercava la sua Valle della Luna. Talvolta, quando tutto sembrava perfetto, ella trovava che la strada ferrata era troppo lontana, o che vi erano solo madroños e manzanitas, o che vi era troppa nebbia.

«Noi abbiamo bisogno d’un cocktail di sole, una volta ogni tanto» osservava a Billy.

«Sicuro, troppa nebbia potrebbe ubriacarci peggio del sole. Per noi ci vuole qualcosa di mezzo, e vedrai che dovremo scostarci dalla costa per trovarlo.»

L’autunno già era sopraggiunto, quando a Fort Ross volsero la schiena al Pacifico per inoltrarsi nella Valle del Fiume Rosso, molto sotto Ukiah, sulla via di Cazadero e di Guerneville. A Santa Rosa, Billy fu alquanto ritardato dalla spedizione d’una partita di cavalli, e solo nel pomeriggio poterono avviarsi a sudest, verso la Valle di Sonoma.

«Credo che, quando saremo arrivati nella Valle di Sonoma, sarà ora di accamparci» disse Billy, misurando l’altezza del sole con lo sguardo. «Questa qui è la Valle di Bennett. Si deve varcare una cresta per sboccare a Glen Ellen. Ma puoi dire che questa valle è molto bella, se te lo domandano. Guarda che monti!»

«I monti sono belli, non c’è che dire» ammise Saxon, «ma quei colli tutt’attorno sono troppo brulli. E non ci vedo neppure un albero grosso. E sai che gli alberi grossi sono indizio di terra ricca.»

«Già non voglio dire che questa sia la Valle della Luna. Ci vuol altro! Però, devi riconoscere che questi monti sono veramente belli. Guarda che foreste sui fianchi. Scommetto che sono piene di cervi.»

«Chi lo sa, dove passeremo l’inverno.»

«Ci stavo appunto pensando. Che ne diresti se andassimo a passarlo a Carmel? Mark Hall è tornato e pure Jim Hazard.»

Saxon annuì.

«Però, non farai più l’uomo dai lavori saltuari.»

«No, faremo belle gite, andando a comprare cavalli» rispose Billy raggiante di soddisfazione. «E se ci troverò quel poeta camminatore della Casa di Marmo, infilerò i guanti per rifarmi di quella sua passeggiata.»

«Oh! Oh!» esclamò Saxon. «Guarda, Billy, guarda!»

Svoltando una curva della strada, era comparso un uomo a cavallo d’un pesante stallone. Era un sauro chiaro con criniera e coda color isabella. La coda quasi toccava terra e la criniera gli copriva il collo. Fiutate le cavalle, lo stallone s’arrestò di botto, s’impettì, con bracciate di criniera svolazzante al vento. Abbassò la testa fin quasi a toccare le ginocchia impazienti con le froge, e tra le aguzze orecchie si poté vedere un arco di collo poderoso, quasi inverosimile. Di nuovo s’impettì, s’incappucciò insofferente, mentre il cavaliere lo tirava con tutta la forza da una parte. Gli occhi selvaggi della bestia ebbero un bagliore azzurro, e Billy, serrando forte le redini, si volse a guardare meravigliato. Poi alzò una mano, e a quel segno il cavaliere s’arrestò.

Parlarono di cavalli al di sopra delle spalle, e tra altre cose, Billy apprese che quello stallone si chiamava Barbarossa, che il cavaliere era suo padrone e che entrambi provenivano

da Santa Rosa.

«Due strade conducono alla Valle di Sonoma» disse loro il cavaliere. «Quando giungerete al crocicchio, quella di sinistra vi condurrà a Glen Ellen attraverso il Picco di

Bennet… lassù.»

Sorgente dietro i tondi dorsi dei colli coltivati, il Picco di Bennet torreggiava caldo nel sole. Visti da quel versante, tanto i monti quanto i colli apparivano brulli, riarsi, benché rivestiti di quella bellissima patina scura, che è propria dei paesaggi californiani.

«Quella di destra conduce pure a Glen Ellen, ma è più lunga e più ripida. Però, per le vostre cavalle, deve essere cosa da nulla.»

«Qual è più bella?» chiese Saxon.

«Oh, quella di destra, senza dubbio! Laggiù, vedete, è il Monte Sonoma. La strada passa sul suo fianco e attraversa la foresta di Cooper.»

Dopo i saluti, Billy s’indugiò ancora un momento prima di partire. Guardando per di sopra la spalla, osservò il focoso Barbarossa galoppare recalcitrante verso Santa Rosa.

«Per Bacco!» disse Billy. «Mi piacerebbe essere da queste parti la primavera prossima.»

Al bivio esitò, e guardò Saxon.

«Che importa s’è più lunga?» gli disse ella. «Guarda com’è bella. Tutta coperta di verdi boschi, e quelle gole, laggiù, devono essere piene di sequoie. Chissà! Potrebbe darsi benissimo che la Valle della Luna sia là. E non me la perdonerei mai di non averla scoperta, solo per risparmiare mezz’ora di strada.»

Presero a destra e s’inerpicarono su per una serie di colli. Man mano che s’avvicinavano ai monti, scorgevano segni manifesti di un’abbondante presenza d’acqua. Seguirono per un buon tratto un grosso torrente, e benché le vigne sui colli fossero riarse dalla calura estiva, le rustiche casette in fondo alle conche erano attorniate d’alberi meravigliosi.

«Ti sembrerà strano» disse Saxon a Billy «ma t’assicuro che già mi sento d’amare questa montagna. Mi sembra d’averla già vista prima. Forse con l’immaginazione… oh!»

Superato un ponticello e svoltato un brusco gomito, furono subitamente ravvolti da una strana frescura. Tutt’attorno s’ergevano maestosi tronchi di sequoie. Il suolo della foresta era tutto coperto da un roseo tappeto di foglie autunnali. Di quando in quando, una raggiera dardeggiante nell’ombra fitta del bosco diffondeva un dolce calore. Piccoli sentieri seducenti s’inoltravano tra gli alberi e attorno a radure circolari – vuoti lasciati da antenati scomparsi, come ad attestare le loro titaniche proporzioni.

Passato il bosco, s’inerpicarono su per una salita molto ripida, un contrafforte del Monte Sonoma. La strada superava alture ondulate, o si affondava in piccole gole o depressioni, tutte boscose e irrigate. In certi punti era resa fangosa dalle infiltrazioni delle sorgenti che la orlavano.

«Questa montagna è una spugna» disse Billy. «Qui termina l’estate.»

«So di non essere mai stata da queste parti, eppure tutto mi sembra familiare. Chissà, forse l’avrò sognato. E ci sono anche madroños! Tutta una foresta, guarda! E anche manzanitas! Che strano! mi sembra di rincasare… Oh Billy: se questa fosse la nostra valle?»

«Appiccicata sul fianco di un monte?» obiettò lui con un sorriso scettico.

«No, voglio dire che siamo sulla buona strada. Perché la strada… tutte le strade che conducono alla nostra valle, devono essere belle. E tutto questo io l’ho già visto: l’ho sognato.»

«Infatti è grande. T’assicuro che preferisco un miglio quadrato di questo paese a tutta la Valle del Sacramento, comprese le sue isole. Se non ci sono cervi da queste parti, vuol dire che non capisco niente. E dove ci sono ruscelli ci sono anche torrenti, e nei torrenti, sai, ci son trote.»

Passarono dinanzi a una grande e comoda masseria circondata da granai mobili e da baracche per il bestiame; proseguirono sotto le arcate della foresta e sbucarono presso un campo, di cui Saxon s’innamorò immediatamente. Nella luce dell’imminente tramonto, quel campo riluceva come oro grezzo, e nel suo centro s’ergeva un’immensa sequoia solitaria, con la cima riarsa, che faceva pensare a un nido d’aquila. Dall’altro lato, la foresta rivestiva il fianco del monte d’un verde compatto, fino a ciò che a loro parve essere la vetta. Ma dopo un po’, voltandosi indietro per mirare il suo campo, Saxon scorse la vera vetta del Sonoma torreggiante lontano, e s’accorse che quella sovrastante il campo non era altro che un suo sperone.

Proseguendo a destra, tra le creste dei monti separati da profonde conche intensamente verdi, intravidero il primo aspetto della Valle di Sonoma e dei monti selvaggi che l’incorniciano a oriente. Videro un paese tutto d’oro, di piccoli colli e di piccole valli. Di là, a nord, s’estendeva un altro tratto della valle, e, più in là, sorgeva la parete opposta della medesima: una schiera di monti, di cui il più alto profilava l’antico suo cratere rugoso contro un cielo tutto roseo. Da nord a sud-est la cinta dei monti s’incurvava dolcemente, rilucente di sole, mentre Saxon e Billy erano già ravvolti dalle ombre della sera. Egli guardò lei, notò l’espressione estatica del suo viso, e arrestò i cavalli. Il cielo d’oriente era tutto rosato, e gettava zaffate ora color viola e ora rubino, sui monti. Gradatamente la Valle di Sonoma s’empì di brume purpuree che s’addensavano alla base dei monti e lentamente salivano, rivestendoli di porpora. Saxon additò quelle brume, accennando in silenzio che esse erano il riverbero del tramonto. Billy annuì, poi toccò le cavalle, e la loro discesa s’iniziò in una calda, colorata luce di tramonto.

Sui punti rialzati della strada, colsero fresche folate provenienti dal Pacifico, distante ben quaranta miglia, mentre dovunque la terra esalava il caldo alito autunnale, drogato dai sentori delle erbe riarse, delle foglie morte e dei fiori appassiti.

Giunsero sull’orlo d’un profondo avvallamento, che sembrava affondare fino al cuore del Monte Sonoma. Di nuovo senza dir parola, dopo aver consultato Saxon soltanto con un’occhiata, Billy arrestò i cavalli. Quella conca era magnificamente selvaggia. Gigantesche sequoie la orlavano in tutta la sua lunghezza. Tre cocuzzoli coperti d’alberi fitti s’ergevano dall’altra parte. Billy additò un campo di trifoglio che giaceva ai piedi di quei cocuzzoli.

«È in campi come questi che vorrei veder pascolare le mie cavalle.»

Ripresero la discesa seguendo un torrentello che cantava sotto aceri e ontani. Le fiamme crepuscolari, riverberate dalle vagabonde nuvole del cielo autunnale, inondavano l’avvallamento d’una luce purpurea, in cui i madroños e i manzanitas sembravano ardere e rilucere come braci. Festoni di vite selvatica attraversavano il torrente d’albero in albero. Querce d’ogni sorta rivestite di musco filamentoso. Dalle fronde circostanti giungeva il lamento d’una colomba rimasta sola. A una cinquantina di piedi da terra, quasi sopra le loro teste, uno scoiattolo Douglas attraversò la strada: fu come un grigio baleno tra due alberi: senza l’agitarsi delle fronde, quel balzo aereo sarebbe passato inosservato.

«A me sembra…» cominciò Billy.

«No, lascialo dire a me.»

Egli attese, gli occhi fissi sul viso di lei che guardava attorno estasiata.

«Abbiamo trovato la nostra valle» mormorò Saxon. «Non è questo che volevi dire?»

Egli annuì e, sul punto di parlare, si trattenne alla vista di un ragazzetto che spingeva innanzi una mucca, tenendo un gigantesco fucile in una mano e una non meno gigantesca lepre nell’altra.

«È ancora lontano Glen Ellen?» gli chiese Billy.

«Un miglio e mezzo.»

«Che acqua è questa?» chiese Saxon.

«Wild Water.»

«Trote ce ne sono?» chiese Billy.

«Basta saperle pigliare» rispose il ragazzetto sorridendo.

«E cervi ce ne sono da queste parti?»

«La stagione non è ancora aperta.»

«Tu non ne hai ancora presi, vero?»

«Posso mostrarvi le corna.»

«Le buttano loro stessi. Tutti le possono trovare.»

«Ma alle mie è attaccata la carne. E non è ancora secca.» Il ragazzetto s’interruppe di botto, temendo di essere caduto in trappola.

Billy ruppe a ridere, rimettendo le cavalle al trotto.

«Non temere, ragazzo mio. Sono un mercante di cavalli, non una guardia.»

Dopo altri voli di scoiattoli, altri madroños, altre querce maestose, altre sequoie fantastiche, e sempre col torrente canoro di fianco alla strada, passarono dinanzi al cancello d’una masseria. Accanto a esso si trovava una cassetta per le lettere, portante l’iscrizione: «Edmund Hale». Sotto il

porticato un uomo e una donna formavano un gruppo così sorprendentemente bello, che Saxon trattenne il respiro. Stavano fianco a fianco, e la mano delicata di lei riposava in quella di lui, che sembrava fatta per elargire benedizioni. E il viso di lui ribadiva tale impressione: aspetto splendidamente severo, grandi occhi grigi benevoli, sotto una profusione di capelli bianchi, rilucenti come vetro filato. Era alto, tarchiato, e accanto a lui la donna sembrava piccola, esile, gracile. La carnagione di lei aveva quella tinta color zafferano che, con gli anni, spesso prendono le

donne di razza bianca. I suoi occhi intensamente azzurri sorridevano. Vestita di verde, e con quel suo visino vivace, irresistibile, sembrava un fiore primaverile.

Quella coppia doveva aver colpito tanto Saxon quanto Billy. Entrambi quegli sconosciuti sembravano avere occhi soltanto per se stessi. L’esile donnina raggiava di gioia. Il viso dell’uomo riluceva beato. E come prima per il paesaggio, Saxon ebbe ora l’impressione di aver sempre conosciuto quella coppia adorabile.

«Buona sera» fece Billy.

«Siate benedetti» rispose l’uomo. «Sapeste che bel paio fate lassù a cassetta!»

Null’altro! Il carro passò rombando sul tappeto di foglie di quercia, di aceri, di ontani. Poi giunsero alla congiunzione dei due torrenti.

«Che bel posto per una casa!» esclamò Saxon accennando attraverso Wild Water. «Guarda, Billy, lassù, sopra il prato.»

«Dev’essere una terra molto ricca. Guarda che grandi alberi. E certo ci devono essere anche dei ruscelli.»

«Andiamo a vedere.»

Abbandonando la strada maestra, attraversarono Wild Water su un angusto ponticello, e imboccarono un’antica strada rustica che correva lungo una cinta d’assi di sequoie, non meno antica. Poco dopo, giunsero a un cancello spalancato e sgangherato.

«È qui, lo so» disse Saxon con convinzione. «Entriamo, Billy.»

Tra gli alberi scorsero una casetta dalla facciata sbiancata e dai vetri rotti.

«Che ne dici di questo madroño?» disse Billy, additandone uno che doveva essere il padre di tutti i madroños: sei piedi di diametro alla base, tozzo, solido, piantato come una sentinella dinanzi alla casetta.

Parlarono sottovoce, addentrandosi sotto le grandi querce che circondavano la casetta, e si fermarono presso un piccolo granaio. Non s’indugiarono a staccare. Legate le redini a un albero, partirono in esplorazione. In quel punto il versante del monte era molto ripido, ma densamente

coperto di querce e di manzanitas. Camminando tra i cespugli, spaurirono una ventina di quaglie.

«Che ne dici della selvaggina?» chiese Saxon.

Billy sorrise e cominciò a osservare un ruscello chiocciolante, chiaro, cristallino, attraverso un praticello. Qui la terra era stracotta e squarciata da molte frane.

Il viso di Saxon si turbò, ma Billy, sgretolando un pugno di terra tra le dita, non cambiò parere.

«È ricca. Crema di terra slavata dai monti per diecimila anni. Ma…»

S’interruppe guardandosi d’attorno e studiando la configurazione del prato. L’attraversò per esaminare un gruppo di sequoie, poi tornò.

«Vale poco, com’è adesso, ma sarà una terra straordinaria, una volta lavorata. Basta un po’ di buonsenso e una buona irrigazione. Questo prato è un bacino naturale, fatto apposta per tenere l’acqua. Dietro le sequoie c’è una china che casca giù ripida sul torrente. Vieni, ti farò vedere.»

Attraversarono il boschetto di sequoie e scesero al torrente. In quel punto l’acqua non cantava più; fluiva tranquilla; pareva quasi stagnante. I salici su entrambe le sponde stormivano piano. Pure, la sponda opposta s’inerpicava ripida. Billy la misurò con gli occhi, poi misurò l’acqua con una pertica.

«Quindici piedi. Basta per tuffarsi da qualsiasi altezza. E c’è un buon centinaio di jarde da nuotare su e giù.»

Seguirono la sponda del laghetto. Dopo essersi ristretto fin quasi a congiungere le sponde, esso si riversava in un altro. Mentre Billy e Saxon guardavano, una trota guizzò fuor d’acqua e subito si rituffò, lasciando l’acqua increspata di cerchi concentrici.

«Credo che non sverneremo a Carmel» disse Billy.

«Questo posto è fatto proprio per noi. Domattina sapremo a chi appartiene.»

Mezz’ora dopo, data la biada alle cavalle, egli attirò l’attenzione di Saxon su un fischio di locomotiva.

«Hai anche la tua ferrovia, è un treno che entra a Glen Ellen, a soltanto un miglio da qui.»

Saxon già stava per addormentarsi sotto le coperte, quando Billy la riscosse.

«Di’, Saxon, e se il proprietario non volesse vendere?»

«Impossibile!» rispose Saxon con imperturbabile sicurezza. «Questo è il nostro posto. Lo so!»

 

Da J. London, La valle della luna, trad. Mario Benzi, Pref. Davide Sapienza, Galaad edizioni, 2013, p. 558, E. 15. Ringraziamo l’editore per la gentile concessione.

 

Pubblicato da Doppiozero  il 1 Gennaio 2017

In copertina: Ansel Adams, Sonoma

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