Sentieri Lenti

28 dicembre 2016 11:17 di jazzi

di Mario Porro.

«Mi attenevo in questo all’esempio dei viandanti che, smarriti in una foresta, non devono andare in giro errabondi, ora in una direzione e ora nell’altra, o, peggio che mai, fermarsi da qualche parte, ma devono camminare sempre diritto, per quanto è possibile, in una direzione, e non cambiarla senza un buon motivo … ». La seconda regola della morale provvisoria di Cartesio obbedisce anch’essa ai criteri suggeriti dal metodo; quest’ultimo (letteralmente, la via, odos, per) indica il cammino ottimale, segue il percorso più breve, come fa esemplarmente la traiettoria della luce. La Razionalità classica e la sua strategia dell’efficacia rispondono ad un principio di economia: è questo, ha osservato Michel Serres, il fondovalle (talweg) della cultura della modernità. Si tratta di risparmiare tempo, di conseguire il risultato massimo con il dispendio minimo, di procedere velocemente verso l’uscita dall’oscuro labirinto, dalla tenebrosa foresta dell’ignoranza. La via metodica si muove nell’uniformità di un deserto: riduce a zero le deviazioni, ricaccia nell’insignificanza le differenze, fonti di distrazione. Il metodo segue gli estremi, procede per massimi e minimi: accoglie soltanto quanto è così chiaro e distinto da non poter essere messo in dubbio, divide le difficoltà nelle parti più piccole possibili, segue l’ordine delle ragioni più semplici, compie le enumerazioni più complete.

 

Questo spazio omogeneo delle ragioni era già stato tracciato sulla sabbia del deserto dove Talete, ricorrendo all’ombra, misurò l’altezza delle piramidi: spazio delle similitudini, dove le stesse cose si ripresentano quando lo si divide a metà o in parti sempre più piccole. È lo spazio in cui la freccia si dirige inutilmente verso il bersaglio, dove Achille insegue in eterno la tartaruga; lo stesso spazio in cui Calvino voleva rendersi irraggiungibile, nascondendosi nella continuità della retta. Ma lo Zenone del nostro tempo, della nostra geometria post non-euclidea, abita varietà molteplici, ripiegate, dove l’operatore di variazioni non è la semplice divisione, è semmai il clinamen lucreziano, la deviazione infinitesima. Il nostro spazio-tempo non è il foglio bianco o la lavagna, è una varietà piena di buchi, di nodi, di pozzi ed ombelichi, di singolarità e punti di catastrofe, di curve di von Koch dalla dimensione frattale. Viviamo spazi topologici più simili al comporsi variegato di un paesaggio che non allo spazio vuoto delle traiettorie lineari della meccanica classica: colline e anfratti, svolte improvvise e salite scoscese, dove il passo e lo sguardo incontrano ostacoli, altrettanti vincoli che impongono o suggeriscono di procedere con lentezza. Le norme universali del metodo valgono dove il locale si limita a riprodurre il globale, ma non ci aiutano a percorrere un paesaggio:

 

Anna Enrica Passoni

 

la varietà differenziata dei luoghi costringe a divergere, circostanze impreviste impongono un cammino che asseconda le condizioni del terreno e le variazioni meteorologiche. Non un metodo, ma una randonnée, suggerisce Michel Serres. Nell’antico lessico della caccia, correre a randon significa seguire la corsa irregolare della selvaggina, mutare spesso direzione perché la bestia, con salti bruschi e imprevisti, cerca di depistare la muta dei cani. E se l’inglese attribuisce oggi a randon il significato di caso, il francese ha conservato in randonnée il senso del vagabondare, dell’erranza pronta a dare ascolto alle rapide metamorfosi delle nuvole.

Ulisse non poteva seguire una via metodica per tornare ad Itaca: le meteore, i giochi delle correnti, i cattivi paraggi, mille vincoli gli impedivano di procedere linearmente. L’abile marinaio è costretto al piccolo cabotaggio, a stare sotto costa per evitare venti contrari, ad andare un po’ al largo per lasciarsi trasportare dalla giusta corrente, ad ormeggiare lontano dal canto delle Sirene e dalle seduzioni femminili. Ulisse, polymethes, dalle molte astuzie, gioca con i vincoli che turbano il cammino, tiene conto del momento giornaliero o stagionale, è costretto a una rotta sinuosa, quasi mai la più breve: scopre così terre ignote che può cartografare, entra in porti sconosciuti prima (Kavafis). L’odissea è un esodo: non quello che giunge alla terra promessa attraversando il deserto, ma quello suggerito dall’etimo, il cammino seguito si stacca (ex-odos) dalla via scelta, qui e là, localmente, scarta rispetto alla norma. Ulisse si sottomette alle fluttuazioni dei flutti, del mare e del vento, scivola fra i turbini di Cariddi e Scilla, resta bloccato in porto per assenza di vento, subisce il fascino di attrattori strani. L’ordine del suo percorso si fa intreccio, gnommero, di cammini imprevedibili, come accadeva ai naviganti in cerca del passaggio a Nord-Ovest, fra il Nord del Canada e l’Artico; essi dovevano attendere il momento propizio, quando nei ghiacci si aprivano varchi, incerto tempore incertisque locis (diceva Lucrezio del clinamen), che nessuna carta poteva indicare, e il percorso era ogni volta da inventare.

Sull’oceano possono scatenarsi le intemperie, ma la nave prosegue lungo la sua linea diritta o la sua geodetica. Colombo non ha bisogno di deviare dalla sua rotta percorrendo la monotona semplicità dell’alto mare; i vincoli o le variabili sono ridotti a meri dettagli quando si attraversa l’oceano, feroce ma governabile. Quando si naviga invece su mari stretti, dal mareggio corto, fra le mille variabili dell’Egeo o del Mediterraneo, la chiglia può sbattere su scogli sommersi o frangersi sulla costa frastagliata, sospinta da venti impetuosi. La randonnée di Ulisse richiede più astuzia di quanta ne occorra sulla via per le Indie: correre al riparo di una baia foranea per sottrarsi al vento, doppiare un capo prendendolo a distanza per sfruttare le correnti. Andare diritto vorrebbe dire fare naufragio. La rotta di Ulisse è una maglia di fili intrecciati dove i capricci di venti, onde e correnti disegnano turbolenze, vortici di circostanze, singolarità locali. L’abilità di manovra impone mille svolte, l’invenzione di espedienti per gestire cambiamenti improvvisi: è questa l’intelligenza del gubernator, l’antico maestro della cibernetica di Wiener. È questa la ratio che nasce navigando sul mar Mediterraneo, la stessa del contadino che contende la terra all’erosione dei venti e delle onde, ai rovesci del tempo: intarsio di luoghi modellati dalle brezza, terrazze strappate allo scivolamento del terreno, lotti singolari che la salinità infetta o che il sole inaridisce. Le circostanze formano i luoghi: lungo le coste, le grotte sono abitate da divinità capricciose, all’interno, fra boschi e orti, altri geni popolano i paraggi.

(…continua il 30/12/2016)

 

Pubblicato su Doppiozero il 20 Agosto 2016

In copertina: Silvia Camporesi

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