Comunità Emergenti. Un libro e una pratica

2 agosto 2017 5:59 di jazzi

Di Alberto Contu.

In quale Comunità viviamo? Cosa significa essere una Comunità? Chiederci chi e come siamo, come individui e come collettività sono domande politico-culturali che ci permettono di iniziare un percorso di difficile, ma fondamentale importanza sul Senso delle nostre esistenze in comune.

Sono anche domande profondamente pedagogiche perchè sono collegate al come vogliamo diventare, al come ci piacerebbe vivere, a quale tipo di aggregazione sociale vorremmo contribuire a creare.

Questi interrogativi, che quasi immediatamente diventano un invito alla ricerca-azione, sono quelli da cui sono partiti una quarantina di ragazzi/e dagli 11 ai 19 anni accompagnati e guidati da un gruppo di adulti (volontari e lavoratori del sociale) per raccontare la realtà del progetto educativo del Circolo Arci Cinema Vekkio di Corneliano e Piobesi d’Alba, e per promuovere attivamente percorsi generativi per immaginare nuovi territori, spazi rinnovati e modi alternativi di intendere e vivere la vita e la socialità.

Nell’ambito del bando nazionale Funder 35 nasce così Comunità Emergenti, che è il frutto di questo lavoro di comunità durato un anno, un libro fotografico, un vero e proprio “oggetto culturale”, strumento da maneggiare e proporre in tutti quei contesti, giovanili e non, pronti a mettersi in discussione e che ci porta al senso di un’Educazione e al cosa significhi (almeno per noi) fare Educazione.

(La mappa) da cui parte il racconto non è quindi (solo) un riferimento geografico, ma richiama noi operatori educativi e le giovani generazioni con cui ci relazioniamo al dove siamo?. Proporre un approccio formativo che è allo stesso tempo palestra di azione nella Comunità e azione stessa nella Comunità allargata, ci sembra un’alternativa credibile al muoverci in un’autoghettizzante proposizione del tema pedagogico sociale come parte a sé, separato dai temi della politica e della cultura; atteggiamento quest’ultimo che porta in maniera narcisistica a commiserarci ed isolarci.

Noi propendiamo per un camminare/domandando di matrice zapatista (Il viaggio) che ci fa da guida nel muovere i primi passi per leggere la società e affrontare le nostre contraddizioni, le ingiustizie e i vari sfruttamenti (sull’ambiente, sul lavoro, sul genere umano, sugli altri esseri viventi etc..) provando a modificarli in maniera radicale pur essendo consapevoli dell’invasione capitalistica nel bios e in ogni suo ambito.

(Il ponte) è un “chiaro invito ad andare” e a diventare o (ri)diventare adulti nel contesto urbano e sociale, e quindi responsabili di sè stessi, degli Altri, del Mondo.

Il dominio del profitto sulla vita, la mercificazione delle relazioni, l’abitudine a dare per scontata la democrazia, il liquefarsi del tema del Pubblico, la generalizzazione sul/sui Bene/i comune/i e infine il modello del consumatore che vince sull’idea di un cittadino planetario, non sono solo grandi temi che leggiamo su libri, riviste, mass media, ma sono esperienza di vita, anche nei piccoli centri. E’ ancora possibile resistere e ribellarsi a tutto ciò? Di certo sappiamo che l’Educazione è Politica, e quindi vogliamo esprimere e prendere (una) parte provando ad incarnare una ricerca continua nell’immaginare e nel creare un’alternativa radicalmente opposta.

(Il bambino con il megafono) è dunque il tema della Critica all’esistente, che mentre dice no fa anche vedere i possibili semi dell’umanità da rifondare qui e ora, ma anche per il domani e che soprattutto si vorrebbe distaccare da un fastidioso, inutile lamento. Come fare?

Intendere e usare i temi della vita, le Arti, lo Sport come strumento pedagogico (Corsi di tutti e di più) con una contemporanea e quotidiana opera educativa che si fa Arte di emancipazione personale e collettiva (Costruire) sono la ricerca e le strade per costruire altre Storie (Narrazioni), fondando ciò come un’Educazione sociale, popolare e comunitaria in grado di formarci come Soggetti, e quindi responsabili, critici, disobbedienti, liberi, umani. Il tentativo arduo e faticoso è quello di non rifarci ad un uso vago, generico e astratto di valori seppur ottimi, ma di confrontarci costantemente e dialetticamente con la realtà esistente e le sue dinamiche.

Educazione sociale, popolare e comunitaria allora diventa impegno di vita, militanza pedagogica per rendere sempre più netto e deciso che il nostro progetto (ritornando alle domande iniziali) si colloca nel tratto che promuove una possibile visione e crescita di Comunità che contrasta con l’ottica della (sola) fornitura di servizi per genitori, famiglie e ragazzi/e, dell’intrattenimento e dello svago da imbecilli, della pura assistenza del “guardare i bambini”.

Comunità Emergenti si può definire a tutti gli effetti un piccolo e artigianale lavoro di inchiesta comunitaria che prende spunto e parte del progetto educativo Cinema Vekkio.

I tre gruppi di adolescenti e giovani coinvolti (11-14 anni, 16-17 anni,18-19 anni) sin da subito si sono ingaggiati e posti come “ricercatori e innovatori sociali in erba”, definendo collettivamente nelle varie riunioni le domande più urgenti per porsi in un’ottica di cambiamento e modificazione dei rapporti esistenti. Ma quasi immediatamente da un noi ristretto si è passati ad un noi allargato promuovendo piccole interviste con genitori e abitanti comuni del territorio, facendo piccoli esperimenti di laboratori sull’immagine con bambini e altri giovani e soprattutto coinvolgendo e stimolando quasi un centinaio di cittadini (tra adulti, bambini e ragazzi, frequentanti e non il Circolo Cinema Vekkio) a raccontarci cosa sanno della loro Comunità, delle relazioni che intercorrono a livello pubblico, con quali nodi, temi e problemi si ritrovano a coesistere quotidianamente.

Di particolare interesse per noi inoltre è stato indagare i legami, i conflitti, le esperienze che intercorrono tra le generazioni che abitano e rendono vivo il progetto stesso, sia per quanto riguarda quello che avviene “dentro le mura” del Circolo, sia per quanto riguarda l’azione a livello di contesto.

Tutto il processo è stato realizzato sperimentando a livello amatoriale il Photovoice, “una tecnica che combinando immagini e discussione di gruppo consente di attivare i membri della Comunità nell’identificare i loro punti di vista e utilizzarli come leve per il cambiamento…”.

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Comunità Emergenti è divenuto quindi un libro fotografico forse proprio perché a livello pedagogico-politico l’arte dell’immagine ci ha permesso di dichiarare nettamente il nostro punto di vista e nello stesso momento di poterlo confrontare e indagare con altri punti di vista per verificare la possibilità di una Comunità rinnovata e alternativa a quella mercificata e del consumismo attuale. Non un semplice laboratorio di fotografia quindi, in quanto i vari temi, nodi , discussioni, riflessioni sono stati messi poi rimescolati, ridiscussi e resi arte attraverso la cooperazione con due fotografi-grafici semi-professionisti. Inoltre in un’epoca di dominio e bulimia dell’immagine, dove questa è immediatamente social e on-line, il lavorare con la fotografia e con le arti grafiche con dei tempi lunghi, ma preferirei dire giusti, ci ha permesso di esprimere volti, sentimenti, attività, nomi e parole in maniera consapevole per quell’azione di cambiamento comunitario per noi decisiva.

(Come sul divano di casa) (Come nella cucina di casa) esprimono quel sentimento di “calore”,di “intimità” che permette ai quotidiani abitanti del Circolo di viverlo “come una seconda casa” e di andare a ri-significare di Senso e di condivisione tutte quelle attività che permettono di rigenerarci e di sentirci compagni di vita (dal latino compagno, condividere il pane!).

Pur non avendo documentazione statistica, possiamo quasi dirci certi che nei 18 anni di vita del progetto Cinema Vekkio la gran parte della popolazione giovanile di Corneliano e Piobesi, ma anche delle città e dei paesi limitrofi ha “esordito in società” partecipando e/o organizzando un concerto, un cineforum, una festa, una cena o una delle altre attività aggregative promosse dal Circolo. (Primo trucco e parrucco) racconta un grande tema pedagogico, quello dell’uscita Pubblica, della festa e di come questa possa essere (o tornare) rito di passaggio verso l’età adulta. Un esempio concreto è il Capodanno, dove ogni 31 dicembre adolescenti e giovani festeggiano e danzano nel salone principale del Circolo, mentre i volontari del progetto cenano nella sala ritrovo permettendo che la festa dei più piccoli avvenga in “autonomia” ed alla “giusta distanza”.

Facendo questo lavoro di inchiesta, era per noi fondamentale andare ad incrociare e affrontare le situazioni più spinose, più complesse e difficili e interrogare anche persone che nulla o poco sapevano del progetto, questo perché volevamo tenerci il più lontano possibile da una rappresentazione autocelebrativa, autoesaltante, che non ci permettesse di affrontare nodi e problematiche decisive per il nostro presente e futuro.

(La gente che sparla) fa emergere uno aspetto portatore di notevoli domande e di energie per il futuro, in quanto esprime i pre-giudizi che negli anni si sono incrostati in alcune persone, ma che in dinamiche di paese possono anche diventare vox populi. E’ risultato dalle nostre interviste che chi non conosce o peggio non ha mai frequentato il progetto ne ha un’idea distorta e negativa, come di un posto che provoca solo danni e rumori molesti per i concerti, in cui le “droghe” e l’ alcol circolano liberamente. Il lavoro che ci spetta è duplice quindi, non possiamo accontentarci dei complimenti e degli incoraggiamenti di chi ci conosce e ci vuole bene, ma continuando la nostra pratica educativa-sociale quotidiana dobbiamo anche interrogarci su come comunicarla, su come renderla comprensibile, magari partendo proprio da questo libro fotografico.

(Non il diavolo) prosegue i contenuti già espressi nella foto precedente, ma vuole rendere giustizia al fatto che attraverso le paure e gli allarmismi (sulle sostanze o sui vari rischi connessi alle nostre vite) non si educa nessuno, anzi lo si rende schiavo di una dinamica perversa che porta ad identificare la prevenzione con l’educazione. Questo vuol dire continuare a mettere al centro della nostra opera formativa la persona, con le sue fatiche, le sue problematiche , non incolpandola e non giudicandola per gli eventuali momenti di difficoltà, per le cadute che quasi tutti nella vita ci troviamo ad affrontare. Detto questo rimaniamo convinti che fatte le giuste e nette distinzioni un buon progetto educativo ha bisogno di una prassi informativa e preventiva sui rischi che possiamo incontrare nella vita, ma per poterli affrontare consapevolmente e soprattutto collettivamente.

(Tutti connessi) evidenzia il tanto discusso tema delle nuove tecnologie, dei social, insomma dell’avvento sempre più invadente nelle nostre vite di internet e dei suoi dispositivi. Ci siamo resi conto di quanto i vari smartphone, pc, tablet e le piattaforme come Facebook, Twitter, Instagram siano sempre meno strumenti di comunicazione ma inizino a diventare prolungamenti del nostro corpo, come nuovi organi. In questo momento non abbiamo le conoscenze e la lucidità per capire quale tipo di trasformazione stia avvenendo grazie alla tecnologia, ma di sicuro iniziamo a chiederci se la loro funzione iniziale di migliorare e rendere più agevoli le comunicazioni non ci stia modificando in soggetti più isolati e soli.

(Musica!) e (La Scuola buona) sono le foto che riguardano gli inizi e la storia del progetto e rappresentano le due peculiarità per cui è riconosciuto una delle sette eccellenze educative tra i Circoli Arci d’Italia.

La prima è un omaggio ai 18 anni di programmazione di concerti, serate e dj set che abbinando gruppi locali a band professioniste fa conoscere il Cinema Vekkio in giro per la penisola, sempre nell’ottica di permettere a gruppi musicali giovanili di esibirsi in “apertura” a spettacoli di musicisti in tour nazionali e internazionali.

La seconda ci permette di ricordare il C.A.M e lo Spazio Aperto, realizzati con il Consorzio Socio-Assistenziale Alba Langhe e Roero, detti volgarmente i doposcuola , dove tutti i giorni ragazzi/e delle scuole elementari e medie attraverso laboratori, giochi e all’aiuto compiti di partecipare attivamente alla loro crescita e a momenti di vera e propria scoperta, scambio e apertura con altre realtà e persone adulte dei due paesi. Qui sarebbe opportuno aprire una seria riflessione sui rapporti con la scuola e con gli insegnanti che ancora troppo spesso (senza generalizzare ovviamente) si rivolgono ai progetti di pedagogia sociale come il nostro come ad un Pronto Soccorso didattico-educativo dove indirizzare “i casi” più complicati, una sorta di educazione di serie b.

Questo è avvenuto e avviene non solo per colpe proprie della classe insegnante, ma anche per le impostazioni assistenzialistico-consolatorie dei Servizi Sociali e soprattutto per una debolezza e un’ improvvisazione (quasi endemica) di noi educatori e pedagogisti sociali nel farci riconoscere come lavoratori sociali in tutto e per tutto. Il nostro compito è anche di ribaltare questa rappresentazione, interpellando e richiamando il mondo istituzionale e la comunità in genere ad un’approfondita discussione sulle politiche educative e al loro finanziamento e funzionamento.

Se le due foto precedenti rappresentano il lungo scorrere di questi 18 anni, (Fedo e Radio) segna invece un passaggio di crescita avvenuto circa 6 anni fa, quando insieme ad un gruppo di ragazzi e ragazze allora quindicenni decidemmo di fondare Radio

Tutti Liberi, la web radio del progetto Cinema Vekkio. Da allora la radio per noi è divenuta modello e stile educativo, non solo semplice strumento di comunicazione , in quanto abbiamo studiato e preso spunto da esperienze di grande impatto politico, culturale e sociale (Radio Auto di Peppino Impastato e Radio LA Colifata di Buenos Aires) che ci hanno fatto capire quanto un’azione di alfabetizzazione sociale (l’imparare a vivere) non possa che partire da una nostra presa di coscienza, da una nostra presenza nella vita di tutti giorni. La radio è diventata il mezzo più immediato e democratico per la circolazione del pensiero critico e dell’informazione puntuale, vissuta, netta.

Di particolare rilevanza per noi è stato il percorso di “liberazione”- riapertura di un campetto sportivo (abituale luogo di ritrovo dei giovani del paese) chiuso per presunta incuria dall’Amministrazione Comunale tre anni fa, che è stato raccolto in un piccolo racconto-intervista-audiodocumentario sugli Spazi Pubblici.

Intendendo la web radio come comunitaria essa non ha realizzato il suo lavoro solo in stanze e aule di registrazione, ma in momenti di incontro, in piazza e in assemblea per conoscere la verità delle persone.

Perché il nostro lavoro di inchiesta riuscisse in qualche modo ad essere effettivamente e genuinamente non lamentoso, ma critico e generativo, abbiamo dedicato l’ultima parte di Comunità Emergenti alle forti pressioni, alle questioni, alle inquietudini contemporanee che i bambini, gli adolescenti, i giovani, i genitori e noi tutti sentiamo come urgenti per proporre prassi trasformative.

(Un calcio popolare) è l’immagine della squadra di calcio del Cinema Vekkio, composta da ragazzi delle scuole medie e superiori che non si sono più iscritti o non lo sono mai stati a società sportive ufficiali della zona per motivi legati agli impegni dei genitori, alle quote di iscrizione e per uno “stile” a volte troppo competitivo. Esortati in maniera decisa dal gruppo di ragazzi stesso decidiamo a settembre di iniziare con una serie di allenamenti settimanali con schemi di gioco, esercizi fisici e preparazione tattica. Tali sedute vengono sempre precedute e accompagnate da un percorso di letture e di confronto su un calcio “diverso” da quello proposto e riproposto in modo ridondante dalla tv e dai mass media; cercando di confrontarsi sul senso dello sport, della competizione, del ruolo dell’avversario, dello spirito di sacrificio e del concetto di squadra, per tradurre poi il tutto sul campo da gioco. (Storia del Saint Pauli di Amburgo, Democrazia Corinthias di Socrates, calciatori partigiani)

(Le Marachelle) e (L’Urlo) sono le immagini che parlano (in maniera ironica) delle attività estive, Estate Ragazzi, Estate Medie e Campi Educativi. I guai, i pasticci che combinano i più piccoli e la “disperazione” degli animatori. Scene classiche e in parte anche significative della reciprocità di un percorso che vede sedicenni e via via fino a ventenni impegnati per più di un mese a dedicare del loro tempo per sostenere la crescita dei loro compagni più piccoli. Ma come abbiamo già accennato qualche riga sopra, la prassi pedagogica è a tutti gli effetti un lavoro e per dargli dignità e giusto significato, come tale va presentato ed esercitato. Molti dei miei/nostri colleghi in tutta Italia (educatori, pedagogisti) vivono una situazione di precarietà contrattuale perenne che nei mesi estivi esplode con situazioni al limite dell’irregolarità, il tutto “giustificato” dai tagli con la complicità di amministratori (da quelli europei a quelli locali) e responsabili dei servizi sociali.

In questi anni abbiamo fondato il percorso Educazione Bene Comune che vuole tenere insieme qualità di iniziativa e proposta pedagogica con una rivendicazione di dignità lavorativa per i lavoratori del sociale, ed è in collegamento con alcune realtà nazionali di Coordinamento degli operatori sociali per promuovere proprio un modello di politiche sociali ed educative ispirate al concetto e alla pratica dei Beni Comuni. E’ proprio dentro questo incubatore di proposta politico-pedagogica che è nata l’anno scorso l’idea di fornire un contratto minimo (no voucher) di prestazione con relativa ritenuta d’acconto a tutti i maggiorenni impegnati nel mese estivo, per responsabilizzarli nei confronti della loro opera lavorativa e soprattutto per ridare fiato, coraggio e modalità pratica a teorie politiche alternative al disastro esistente. Un piccolissimo segnale, ma di grande coerenza e militanza pedagogica e politica, che è potuta avvenire solo grazie all’attenzione su questo delicato tema da parte del direttivo del Circolo Cinema Vekkio.

Ed è sempre con il tema lavoro che (Come su di un grattacielo) “copiando” l’instabilità della foto che ritrae i costruttori di grattacieli di Manhattan del secolo scorso che i giovani con cui ci relazioniamo ci hanno fatto “scontrare”

La precarietà oltre a non permetterci di poter immaginare e vivere una vita serena e degna, ci fa piombare in una condizione esistenziale di incertezza e paura. La precarietà esercita inoltre un potere enorme, che ci induce a passare la stra-grande parte del nostro tempo nel ricercare assiduamente una mansione lavorativa o un qualche forma di reddito che ci permetta di vivere. Questo dato è fortemente e negativamente incisivo sulla qualità della nostra vita individuale e sociale. In particolare molti giovani (ma non è solo una condizione generazionale) sono ricattati e costretti quindi ad accettare forma collaborative segmentate, prive dei minimi diritti fondamentali (ferie e mutua) quando non palesemente irregolari. Il tutto con l’assoluta perdita del significato “emotivo” e sociale dell’eseguire una professione o esercitare una determinata opera lavorativa.

Inoltre essendo sprovvisti di una minima conoscenza delle regolamentazioni governative che determinano questa realtà si trovano praticamente impossibilitati ad esercitare una qualsiasi forma di sovranità sulle scelte che riguardano la loro vita.

Per tentare una prima “coscientizzazione” rispetto a tutto ciò da gennaio e sempre in unione con Educazionebenecomune abbiamo iniziato un laboratorio-percorso formativo dal nome In-Formazione al Lavoro con una quindicina-ventina di adolescenti e giovani (non solo di Corneliano e Piobesi,) che stanno finendo il percorso scolastico o che già sono impiegati in maniera discontinua nel mondo del lavoro, per educarci in maniera critica e fondamentale sul Senso e sulla qualità del lavoro, partendo proprio da una iniziale e basilare conoscenza dell’attuale legge che regolamenta il mondo lavorativo (il cosidetto Jobs Act).

Siamo giunti alla fine del nostro racconto, della nostra piccola inchiesta e quasi immediatamente si ritorna a quelle domande di Senso iniziali a quel continuo “andare e venire” in strada (Entrate/Uscite) a quell’intendere e vivere l’Educazione come sociale, popolare e comunitaria e “quindi facendola avvenire nella società dove tecniche, contenuti, metodiche, obiettivi, riti e cerimonie agiscono con lo scopo di produrre in modo sistematico, intenzionale, continuo e integrale forme di apprendimento, di trasmissione, trasformazione e cambiamento sociale…”

Ci stiamo effettivamente riuscendo? Comunità Emergenti si diceva, è un “oggetto culturale”, ma è evidente che non può bastare a sè stesso,anche chi lo sfoglia, ne è incuriosito e se ne appassiona, si rende subito conto che ha bisogno di un “quelq’un” che glielo narri, glielo mostri e gli permetta di entrare in relazione con esso. Ecco forse proprio questo è un piccolo insegnamento da cui ripartire per la nostra avventura, re-imparare a stare insieme e a fare società, a dibattere, eventualmente a confliggere, per andare oltre il lento consumarsi e imbonirsi contemporaneo. La nostra idea è di andare in giro per il mondo e continuare a cercare persone e gruppi con cui condividere domande, ipotesi, ricerche e prassi vive a partire anche da questo libro… vi va di leggerlo con noi?

Pubblicato da cheFare il 21 Ottobre 2016.

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